In questa intervista, rilasciata nel 2002 presso il Cantiere Alto Adriatico di Monfalcone e mai pubblicata fino ad ora nella sua versione integrale, ricordiamo Carlo Sciarrelli, il grande progettista triestino scomparso il 23 settembre del 2006.
Di Paolo Maccione – Ottobre 2011
E’ Carlo Sciarrelli, triestino, da quarant’anni sulla breccia nel settore della progettazione navale di scafi a vela rigorosamente classici. Già vent’anni fa, durante una conferenza di Olin Stephens in Sardegna e a testimonianza di quanto la sua fama fosse giunta oltreoceano, l’architetto americano lo riconobbe fra il pubblico e gli andò incontro per discutere con lui di barche e progetti.
Lo abbiamo incontrato poco tempo fa in occasione del varo del cutter di 15,50 metri Tiziana IV, il suo 137esimo progetto costruito interamente in legno dal Cantiere Navale Alto Adriatico di Monfalcone.
Tutte le barche del mondo nascono come variante di una barca base. Anche Tiziana IV non è sfuggita a questa semplice regola: è la variante di Tiziana III, un altro mio progetto costruito dal Cantiere Foletti di Riva del Garda e al quale ci si è ispirati per costruire quella nuova. A sua volta Tiziana III è nata come variante del Tiziana II. Tutti gli armatori vogliono una barca che non perda ciò che hanno già e quella nuova deve essere come la vecchia, con in più qualcosa.
Qual’era il tema principale?
Doveva essere come la precedente, ma in versione ‘coupè’, meno pacioccosa, un po’ più bassa e leggera in proporzione, più invelata, con un dislocamento più ridotto e distribuito più in lunghezza che in larghezza.
Si ricorda di Tiziana III alla Barcolana del 2000, per intenderci quella con 60 nodi di vento?
La ricordo bene, a bordo c’ero anch’io. La Barcolana non è la Coppa America però in quella occasione ho avuto più conferme di quante ne abbia apprese in tutta la mia vita di progettista. Le barche che ti intimidivano, per intenderci quelle nuove, ipersponsorizzate, apparentemente irraggiungibili e inseguite dai fotografi, sono state spazzate via da quel colpo di vento. A centinaia andavano alla deriva senza riuscire a rimontare il vento, con il boma in acqua e gli equipaggi aggrappati dove potevano. Ecco, in quella occasione è intervenuta una specie di “giustizia divina” contro la retorica che accompagna tutti questi scafi nuovi. Con Tiziana III abbiamo semplicemente ridotto la velatura e proseguito a 7-8 nodi di velocità. E’ stata una gloriosa giornata di vela e di festa, attorniati da ritiri e desolazione.
Tiziana IV non ha la poppa a cuore.
L’associazione “Sciarrelli-poppa a cuore” ritengo sia stata un’invenzione giornalistica. Sui quasi 140 disegni della mia vita quel tipo di poppa comparirà in neanche 10 progetti.
A giudicare dalle barche in circolazione sembrerebbe molto di più.
Sì, perché molte sono repliche derivate da stampi che finiscono chissà dove per rispuntare improvvisamente all’interno di cantieri che ricostruiscono, assemblano, modificano per poi immettere sul mercato le cose più strane.
E poi?
Poi è arrivato il primo cliente, che mi ha chiesto una variante di Anfitrite, barca che naviga tuttora in alto Adriatico. Ne è seguito un altro che mi ha commissionato una variante della passera e così via. Nel corso degli anni mi sono sempre state chieste varianti di queste due barche, perché gli armatori hanno paura di farsi progettare barche completamente diverse.
A chi si è ispirato a inizio carriera?
Alla fine degli anni Cinquanta i miei modelli erano gli inglesi, perché poco si sapeva degli americani e di quello che facevano. Su di loro arrivavano poche notizie. Io mi ispiravo a Laurent Giles e a Clark. Uno che progetta una barca affermando di avere inventato tutto dice il falso, diffiderei dal farmi disegnare una barca da costui.
In quale anno o con quale progetto si è sentito “laureato” un grande progettista?
Non mi sono mai sentito un grande progettista. Sono solo molto bravo. Anzi, mi sento più un artista che un progettista. Un grande progettista è, ad esempio, Vallicelli.
Da cosa nasce la sua avversione nei confronti della progettazione al computer?
La mia non è avversione, semplicemente non mi sono mai accorto del computer. Ho sempre progettato come è sempre stato fatto. Sostengo comunque che i progetti migliori nascano dal mezzo modello, ma in questo caso bisogna essere veramente troppo artisti e io non mi sono mai spinto fino a questo punto. Semplicemente cerco di disegnare come se sviluppassi un mezzo modello.
Quante sue barche navigano?
Un centinaio di scafi sono in ferro, centocinquanta circa in vetroresina e diverse decine in legno.
Ha mai regalato un progetto?
No, ma in molti casi non sono stato pagato. Qui da noi pare sia uno sport nazionale non pagare i diritti di replica. E’ successo che certi cantieri abbiano costruito barche in serie su mio progetto senza riconoscermi le cosiddette royalties adducendo motivazioni del tipo “le costruiamo a tempo perso, a spese nostre”. Poi gli armatori che compravano le loro barche si presentavano da me, ma io mi guardavo bene dall’esaltare l’opera del cantiere e li mandavo via.
E intentare azioni legali?
Perché? Per qualche milione di vecchie lire? Uno deve fare causa solo se ci sono in ballo grosse cifre altrimenti rischia di spendere più soldi di quelli che gli spetterebbero di diritto.
Quanto costa un progetto di Sciarrelli?
Circa il tre per cento del costo dell’imbarcazione.
Come giudica la ricostruzione di una barca di Fife piuttosto che di Herreshoff o di un altro grande progettista del passato?
L’idea non mi piace. Non avranno mai il fascino dell’epoca.
Cosa ne pensa di organizzazioni quali l’AIVE (Associazione Italiana Vele d’Epoca), l’ASDEC (Associazione Scafi d’Epoca e Classici), la RHS (Riva Historical Society) e ARIE (Associazione per il Recupero di Imbarcazioni d’Epoca)?
Ne penso bene, è giusto che esistano. Mi sento sicuramente più legato all’AIVE perché l’abbiamo inventata io e Gianni Loffredo. Le promuovo tutte, ma preferisco che questo genere di organizzazioni vengono gestite da altri e non da me. Non ho il gusto dell’associazione, mi ritengo un topolino che se ne sta a casa con il suo tavolo da disegno, la biblioteca e il giradischi. Non sono un personaggio sociale e socievole.
E’ iscritto a qualche sodalizio?
Sono socio dello Yacht Club Adriaco di Trieste da ben 52 anni. Se fosse dipeso dal mio impegno sociale ora sarebbe già chiuso, ecco perché ammiro moltissimo chi vi dedica molta parte della propria vita e del proprio tempo libero. Di fronte a ciò sono investito da ondate di commozione. Sono un po’ come quelli che lodano coloro che vanno a messa la domenica, ma che non ci andrebbero neanche in catene.
Cosa ne pensa di Navalis, il salone veneziano (ora ex, ndr) della nautica in legno?
Accetto di più un business organizzato da privati e creato per guadagnare. Navalis non mi sembra appartenga a questa categoria, mi pare più un’iniziativa “parastatale”, degna di poca considerazione.
Siamo leader al mondo nella produzione di megayacht e di megasailer, cosa le fa pensare tutto ciò?
L’Italia è sempre stato il Paese delle barche a motore. La natura dell’Italia è sempre stata quella di avere le barche più veloci. Noi siamo motoscafisti, anche fin troppo nervosi. In Italia sussiste la regola di fare barche velocissime, che partono fra mille spruzzi, ma che si fermano dopo poche ore per fare rifornimento perché il pieno è già finito. Nei paesi anglosassoni invece si va più lenti, ma si naviga di più e si trascorre più tempo in mare che nei porti.
E’ sempre valida la sua affermazione “per me potrebbero esistere solo le barche senza il mare”?
E’ un’affermazione che è stata stravolta. Io ho detto che mi piacciono più le barche del mare. Vado in mare perché amo le barche, se dovessero propormi di vestire costume e pinne per una nuotata rifiuterei, mi piace di più andarci in barca. E’ come dire ad uno che inventa fucili subacquei che gli piacciono solo questi strumenti di caccia e odia l’acqua. E’ assurdo. Nel mio caso non mi interessa il mare senza le barche.
Cosa ne pensa quando sente “l’ha detto Sciarrelli e quindi è giusto”?
Non esiste biblioteca nautica che non abbia fra i suoi volumi Lo Yacht di Sciarrelli, quante copie ne sono state vendute?
Penso che non si saprà mai con precisione. Dalla prima edizione del 1970 ne sono seguite altre quattro, posso solo affermare che è diventato un “evergreen”.
Chi stima di più nell’ambiente nautico: un personaggio, un armatore, uno skipper, un dirigente …
Quando ero giovane avevo due modelli: i progettisti Artù Chiggiato e Bruno Veronese, oggi entrambi scomparsi.
E del compianto Beppe Croce cosa ne pensa?
Non potrei mai riconoscermi nei panni di un uomo come lui: ricco, bello, colto, spiritoso, politico. Troppo, per me è decisamente troppo. Mi immedesimo più nei confronti di un vecchio artista piuttosto che in un uomo che da del tu ai regnanti. Comunque i miei modelli sono sempre stati sempre e solo i progettisti navali.
Lei tende a suddividere gli armatori in categorie?
Da cosa capisce che un armatore le sta facendo solo perdere tempo?
Tutti vogliono giocare a fingere di comprare la barca, al pari di come due giovani sposini si fanno accompagnare dal geometra a visitare un appartamento che non potranno mai permettersi di acquistare. Io riconosco uno che non si farà mai la barca se viene da me il sabato mattina. Se mi fanno visita in quel giorno della settimana già capisco che non si concluderà niente. Come il sabato mattina il Fantozzi della situazione si traveste da Panatta e fa il trofeo di tennis nel cortile del condominio, così l’impiegato di banca si traveste da yachtman e finge di ordinare il progetto della sua futura barca. Mi dispiace che mi facciano perdere tempo perché anch’io da trent’anni ho “il mio sabato mattina”. In quel giorno infatti mi travesto da gentiluomo di campagna, mi spingo sull’altipiano intorno a Trieste e fingo di acquistare rustici sul Carso.
Ci può fare un esempio di armatore intelligente?
I committenti più intelligenti, spiritosi e simpatici che ho avuto sono i pugliesi. Per loro disegno con piacere la barca a cui tendono. Peccato che non ne accettino il prezzo: rimandano, ci ripensano, apportano cambiamenti e alla fine hanno una barca malfatta e abbandonata. Si stufano troppo presto.
L’intelligenza è un grave difetto. Non si può fare una bella barca se si è intelligenti, spiritosi e con il gusto per un buon libro o per un bel film. Questi aspiranti armatori bisogna quasi ignorarli, sfuggirli come la peste. Solo con il “longobardo” milanese si può fare una barca. Egli discute sul prezzo, ma quando l’ha deciso allora si fa. E’ uno che rispetta le scadenze.
C’è stato qualcuno che per avere una barca progettata da lei si è indebitato?
Tutti i non milanesi. Il milanese non fa una sciocchezza simile. Ci sono “latitudini” che non pagano. Molti italiani non ammettono di pagare, considerandola quasi un’offesa personale.
C’è qualche progettista che sta raccogliendo la sua eredità progettuale?
No. Non vedo nessuno che abbia il gusto dello scafo e delle forme, è un’idea artistica ormai antica. Oggi si cerca solo la pinna e la vela perfetta con il risultato di avere uno scafo, mi ripeto, miserabile.
Ha mai notato che quando si vende uno scafo di suo progetto la prima cosa che si specifica nell’inserzione è “Vendesi Sciarrelli …”? Perché?
Perché non sono barche di Sciarrelli. Quelle nate bene, che ho seguito come progetto e costruzione hanno già un elenco di aspiranti armatori pronte a rilevarle, mentre le altre sono quelle “rubate”, deformate, riuscite male, per le quali si spende il mio nome per fare da richiamo. In molti di questi casi non mi è stato pagato il progetto.
Lei è più regatante o crocierista?
Un’ultima domanda. Come vorrà essere ricordato?
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