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Barche d’Epoca e Classiche ha vissuto una giornata a bordo dell’Enrico Toti, il sottomarino lungo 46 metri varato dalla Italcantieri di Monfalcone nel 1967. Tra il 1968 e il 1999 l’unità ha prestato servizio in Marina Militare, svolgendo attività di spionaggio navale in tutto il Mediterraneo. Il 14 agosto 2005, dopo essere partito dalla Sicilia, avere risalito l’Adriatico, il fiume Po fino a Cremona e percorso un lungo tratto di strada su un rimorchio speciale, il sottomarino è stato collocato stabilmente all’interno del Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano, dove in poco tempo è diventato una delle principali ‘attrazioni’.
 
Di Paolo Maccione – Gennaio 2015
Fotografie di Paolo Maccione
 
Foto 1 - Il propulsore elettrico Foto MaccioneIl dott. Marco Iezzi, curatore della Sezione Trasporti del Museo delle Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano, è stato la nostra guida in occasione della visita all’interno dell’Enrico Toti. Chiunque, previa prenotazione, può salire a bordo e esplorare l’unità. Ogni visita è sempre guidata da una persona, non esistono ‘fredde’ audioguide. Chi accompagna i gruppi, al massimo 6 persone per volta, si immedesima nella tipologia di visitatori che ha davanti e racconta ciò che può essere più interessante per loro.
 
 
 
Dott. Iezzi, cosa ha rappresentato per l’Italia il sottomarino Enrico Toti?
Una sorta di riscatto post-bellico. E’ infatti la prima unità navale di questo genere costruita dopo il secondo dopoguerra. Impostato nel 1965, in piena guerra fredda, il Toti rappresenta un gioiello della cantieristica italiana. Si tratta di un battello in grado di scendere fino a 300 metri di profondità e di non essere visto da nessuno, tanto che in occasione di numerose esercitazioni in ambito NATO riusciva a lanciare siluri ‘elettronici’ contro grandi navi statunitensi che si stupivano di essere state ‘affondate’. Ha superato le aspettative dei suoi stessi progettisti.
 
Entriamo nella sala motori, a poppa estrema, cosa può raccontarci?
In realtà si tratta di un singolo propulsore elettrico, costruito dalla Siemens, che trasmette il moto alla grande elica di poppa. La corrente elettrica viene ‘pescata’ da un serbatoio di energia e fornisce la propulsione più silenziosa possibile. Se percorriamo tre passi verso prua ci imbattiamo in quattro grosse bombole, che rappresentano le scorte d’aria in grado di aiutare il battello a riemergere.
 
Foto 3 - 'Turiddu', il diesel di dritta Foto MaccioneE questi due grossi serbatoi in acciaio con le scritte ‘Turiddu’ e ‘Ianuzzu’, cosa sono?
Sono le marmitte dei due motori diesel di bordo. In realtà si tratta di generatori e non di motori che trasmettono movimento all’elica. Servono solo per generare corrente elettrica.
 
Quindi non generano movimento per la propulsione?
No, perché per fare funzionare un motore endotermico diesel, come in questo caso, c’è bisogno di ossigeno, complicato da estrarre sott’acqua. Lo si usa quando si sale a quota periscopica. Quando ci si trova quasi a pelo d’acqua si estrae una sorta di ‘boccaglio’ per far respirare i motori e rigenerare le batterie che faranno funzionare i motori e tutto il resto del battello, totalmente elettrico.
 
Torniamo a ‘Turiddu’ e ‘Ianuzzu’ …
Sono semplicemente i due nomi dati dall’equipaggio alle due marmitte e servono ad indicare, in qualche modo, il lato di dritta e di sinistra. Come potete vedere tutto è stato mantenuto come in originale. Se vi guardate attorno vedrete anche numerosi tubi colorati.
 
Foto 6 - L'unico wc di bordo Foto MaccioneCosa indicano?
Ogni colore indica il tipo di sostanza che attraversa quel tubo. In quelli più piccoli scorre l’acqua dolce. In quelli arancioni passa liquido caldo; quando ci si trova in superficie, soprattutto quando c’è un po’ di mare, è sempre meglio non appoggiarsi. Nei tubi rossi scorre acqua salata, utile per spegnere un incendio o per sciacquarsi, anche considerato che esiste una sola doccia a bordo. Infine i tubi gialli, attraverso i quali scorrono sostanze oleose o particolarmente infiammabili.
A un certo punto Iezzi ci fa ascoltare il rumore con il quale avevano a che fare tutti i giorni i motoristi imbarcati. Dopo avere avviato un interruttore le nostre voci vengono soffocate da forti vibrazioni che ci costringono a gridare per essere ascoltati. A bordo si comunicava tramite una serie di interfoni.
 
Oltrepassiamo la prima porta stagna e abbandoniamo il locale motori, dove ci troviamo adesso?
Siamo entrati nella plancia di comando, che inizia con un corridoio molto stretto. Qui ci sono una serie di locali di servizio. Il primo è un bagno di servizio, privo di lavandino. Era stato concesso che venisse decorato con la luna e le stelle; una cosa poco militare, ma molto umana.
 
Poi?
Questo è il locale radio, dove si ricevevano e inviavano informazioni, ordini e la posizione stessa del battello. In verità questi apparati venivano usati poche volte, perché l’acqua è un cattivo conduttore di onde elettromagnetiche. I battelli sottomarini si portavano a quota periscopica ogni 12 ore circa, quando si rendeva necessario cambiare l’aria e ricaricare le batterie. In questi casi si effettuavano le trasmissioni, nonostante ciò volesse anche dire rendersi ‘visibili’ ai nemici. Per questo, dopo avere trasmesso, si tornava rapidamente in immersione.
 
E quest’altro locale, con scritto ‘Locale Sonar’?
Sono gli ‘occhi’ del battello. Il sottomarino, privo di oblò, vede con le sue ‘orecchie’ attraverso l’operatore al sonar. Egli, tramite un sonar attivo, un sonar passivo e un batimetro (in alcuni documenti della Marina Militare questo strumento era anche denominato ‘batistratigrafo’) è in grado di capire quale sia la posizione del sottomarino e da quali oggetti sia circondato.
 
Foto 12 - Il tavolo da carteggio Foto MaccionePossiamo descrivere questi tre strumenti?
Il sonar attivo è uno strumento che emette suoni non udibili dall’orecchio umano, a tutti gli effetti onde meccaniche che quando incontrano un oggetto rimbalzano e tornano indietro. Contando il tempo trascorso impiegato dall’onda meccanica per andare e tornare si ha la distanza dall’oggetto stesso. Si usava poco perché significava essere intercettati dagli altri. Ecco perché era sempre meglio rimanere in ‘ascolto’. Era una delle funzioni principali di questo tipo di unità, spesso dislocata nel Canale di Sicilia. Una volta raggiunta la quota operativa, tra 100 e 150 metri, si monitorava il passaggio delle navi in superficie. Proprio grazie ai sottomarini della classe Toti e della classe Sauro si era riusciti a tracciare una mappa di tutte le unità navali che transitavano dal Mediterraneo, compresi i flussi dei grandi sottomarini sovietici. E qui torniamo agli anni della guerra fredda. Il batimetro ci permetteva invece di sapere sempre a quale profondità si trovasse il sottomarino. Questo invece è il ‘pulpito’, chiamato così per la sua forma, ed è un reostato usato per erogare la giusta corrente necessaria per fare muovere l’elica. Doveva essere usato con precisione perché i tempi di scarica influivano sul momento in cui il battello sarebbe dovuto riemergere.
 
Ora dove ci troviamo?
Siamo nella centrale operativa. Le postazioni sono molto semplici. C’è il tavolo da carteggio dove si sedeva l’ufficiale di rotta, la bussola, un GPS. Il Toti ha avuto una lunga vita operativa, la sua ultima missione risale al 1997 e nel 1999 è stato radiato dalla Marina. A bordo possiamo dunque trovare una ‘stratificazione’ di tecnologie che si sono avvicendate nel corso degli anni. 
 
Foto 15 - La postazione del timoniere Foto MaccioneMa come fa a funzionare una bussola all’interno di una scatola di metallo qual è un sommergibile?
E’ vero, è come fossimo in una gabbia di Faraday e la bussola non potrebbe funzionare. In effetti quella che vediamo non è una vera bussola, ma il ripetitore della bussola collocata altrove, fuori dalla schermatura. Quando l’ufficiale di rotta comunicava una variazione di rotta, questa veniva recepita dal timoniere. Tra le altre piccole ‘anomalie’ quella che il Toti non si conducesse guardando il verso di navigazione, ma al contrario.
 
 
E queste manopole, a cosa servono?
Servono per allagare le casse zavorra, il che permette di ridistribuire i carichi e i pesi in fase di immersione. Per andare sott’acqua era infatti necessario appesantirsi, ma non troppo. Svuotare una cassa d’acqua non è infatti semplice, bisogna spingere al suo interno una grande quantità di aria ad alta pressione. Facciamo un esempio: se ci trovassimo a a 150 metri di profondità e dovessimo spingere all’esterno acqua dovremmo esercitare una pressione di circa 150 tonnellate al metro quadro. Il funzionamento può essere assimilato a quello di un aereo, si arriva al ‘peso zero’ tramite questo strumento.
 
Foto 20 - La cuccetta del comandante Foto MaccioneDove si trova seduto adesso?
Sono seduto nella postazione del timoniere, con i piedi comando i timone di direzione, con le mani i timoni di profondità (o quota), di fronte a me ho i due manometri di controllo quota e la bolla per la verifica dell’assetto di beccheggio.
 
Veniamo al periscopio.
Sì, è forse lo strumento più conosciuto di un sottomarino, nonostante serva a poco o nulla perché impiegato solo in emersione. A differenza di quello che si vede nei film non è così semplice da ruotare. Sul Toti, rispetto ad altri battelli, abbiamo solo il periscopio di avvistamento e non quello di attacco. L’ ‘occhio’ del periscopio può essere rivolto anche verso l’alto per osservare l’eventuale avvicinamento di aerei, il nemico principale di un sottomarino.
 
E questi strumenti, cosa sono?
Si tratta di varie antenne elettromagnetiche che sono situate nella Falsa Torre (o Vela), ad esempio antenne UHF e VHF ed il RADAR, ma c’è anche il telefono subacqueo e le apparecchiature di sollevamento antenne.
 
Foto 23 - I 4 tubi lancia siluri Foto Maccione
E i siluri?
In questo momento ci troviamo davanti al quadro controllo siluri. Il sistema era in grado di gestire, tramite filo guida, due siluri per volta, grande vantaggio tattico per l’epoca del Toti. Questi non potevano ‘partire’ per sbaglio perché per attivarli era necessario premere due pulsanti ben protetti … non come nel film americano ‘Operazione sottoveste’ quando una signora ospite a bordo fece partire inavvertitamente un siluro che finì a terra e affondò … un camion.
 
Proseguiamo la visita e oltrepassiamo un altro portellone stagno. Dove ci troviamo adesso?
Siamo in prossimità della camera di lancio. Qui c’è la branda del comandante e il quadrato ufficiali, costituito da un semplice tavolino pieghevole e da una serie di armadietti blindati che contenevano la farmacia di bordo, gli strumenti criptografici e le armi. Dirimpetto c’è la cucina. Quasi tutti gli ex comandanti del Toti incontrati a bordo ci hanno raccontato che questa branda non venisse quasi mai usata perché sopra la testa avevano un impianto di raffreddamento e sotto un alternatore che scaldava. Insomma, sembrava di stare su una griglia. Preferivano montare una brandina in camera di comando e ‘dormicchiare’ durante le varie operazioni.
 
Qui lavorava anche il cuoco, vero?
Sì. A bordo era considerato una specie di mago, proprio perché in spazi angusti come questo era in grado di cucinare un primo, un secondo e un contorno per tre turni di rancio al quale si aggiungeva la mitica ‘pizza di mezzanotte’, tradizione mai scomparsa in Marina Militare.
 
Foto 25 - Il locale poppiero Foto MaccioneQuanti siluri poteva caricare il Toti?
Al massimo 8 siluri, di cui quattro nei rispettivi tubi di lancio e 4 di riserva. In realtà il tubo realmente carico era uno. Gli altri contenevano le numerose provviste di bordo. Le missioni potevano infatti durare tre settimane e l’equipaggio poteva anche essere composto da 32 membri di equipaggio. All’interno di ogni siluro, tramite questo carrellino, il più piccolo membro dell’equipaggio si avventurava in fondo per andare a recuperare il cibo per la giornata. Sotto ai tubi di lancio c’è la camera di zavorra prodiera, quella che viene allagata per prima per fare scendere il battello in profondità.
 
Infine ci sono le ‘brande calde’ per l’equipaggio …
Sì, oltre alla branda del comandante ce n’erano 12 a disposizione dell’equipaggio. Nessuno aveva una propria branda. La guardia smontante semplicemente andava a dormire nella cuccetta di chi invece doveva prendere servizio, ecco perché la trovava sempre calda. Di personale c’era solo un piccolo armadietto per ogni membro di equipaggio, entro il quale bisognava farci stare tutti i propri effetti. Non essendoci luce naturale, per ricreare i ritmi biologici quotidiani si mantenevano accese le luci bianche durante il giorno e quelle rosse durante la notte.
 
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