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Reliance Herreshoff del 1903In questo articolo l’avvocato milanese Fabio Malcovati, dal 2015 presidente in carica dell’ASDEC (Associazione Scafi d’Epoca e Classici), approfondisce il concetto di “barca d’epoca” nei regolamenti delle varie associazioni di settore. Grazie a numerosi riferimenti e all’interessante ricerca storica, egli fa una sintesi tra le diverse definizioni di scafo d’epoca. Dunque, cos’è e quando una barca è definibile "d’epoca?". Leggetelo qui …

Di Fabio Malcovati – Aprile 2020
Fotografie Archivio Barche d’Epoca e Classiche

LA BARCA D’EPOCA NEI VARI REGOLAMENTI
Barbara 1923 Foto P. Maccione
Barbara, yawl bermudiano del 1923 (Foto P. Maccione)

Quasi tutte le definizioni di barca d’epoca contenute nei regolamenti delle varie associazioni che si occupano del settore traggono origine da una tesi sull’evoluzione del settore della nautica da diporto che ritiene di collocare, alla fine degli anni ‘50 primi ’60, una trasformazione radicale della nautica, tale da far dimenticare radici e origini, da interrompere il legame con la tradizione, da determinare totale incapacità di dialogare con il proprio passato: una modifica totale del modo di pensare l’imbarcazione, di idearla e di costruirla (nota 1). Il maestro d’ascia, identificato come figura emblematica del periodo così brutalmente interrotto, viene travolto dalle novità e tende a scomparire. Nuovi materiali si affacciano, determinando l’abbandono del legno massello nella costruzione: insomma, la storia della nautica, fino a quel momento identificata con il maestro d’ascia e il legno massello, si interrompe per ripartire in una nuova dimensione (nota 2).

AMARYLLIS, IL CATAMARANO DI NATHANAEL HERRESHOFF
Amaryllis 1876
Amaryllis di Herreshoff: 1876

Credo sia indispensabile una premessa, prima di discutere di questa tesi: lo spirito di conservazione, il rifiuto delle novità e comunque la difficoltà ad accettarle fa parte del DNA di una certa parte del mondo della nautica, così come la difficoltà di accettare di essere battuti in regata. Un solo esempio, molto significativo. Correva l’anno 1876 e si doveva correre la regata indetta, per festeggiare i 100 anni dell’indipendenza degli Stati Uniti, dal mitico New York Yacht Club. Nathanael Herreshoff, il “mago di Bristol”, familiarmente noto come Captain Nat, i cui yacht vinceranno sei edizioni dell’America’s Cup, partecipa con una barca di 33 piedi da lui disegnata: presenta i disegni alla giuria che accetta la barca. 35 i concorrenti. Alla partenza sono molti i concorrenti che irridono la strana barca di Captain Nat, ma nessuno presenta reclamo. Le cronache raccontano che, dopo una partenza lenta per il poco vento, la brezza ha rinforzato e Amaryllis - così si chiamava la barca di Captain Nat –, distanziata dal gruppo dei partecipanti quando c’era poco vento, ha rapidamente raggiunto e poi superato l’intera flotta, distaccando il secondo, all’arrivo, di 20 minuti. Alcuni concorrenti presentarono reclamo, affermando che Amaryllis non era uno yacht: il reclamo, benché tardivo, venne accolto. La barca era un catamarano. Dopo qualche anno (e altre schiaccianti vittorie), nessun catamarano venne più ammesso alle regate cui partecipavano monoscafi (nota 3). Qualche giornalista si è chiesto se l’esclusione fosse stata decisa da “snob reazionari e bigotti” e ha risposto che no, i giurati potevano andare assolti, considerata la assoluta novità del tipo di imbarcazione. Sono però passati oltre 140 anni e siamo ancora aggrappati al mito di quel divieto! Il più importante regolamento di regata per barche d’epoca, infatti, il regolamento CIM, limita la partecipazione alle regate ai soli monoscafi: Amaryllis, classe 1876, sarebbe ancor oggi escluso da qualsiasi regata di barche d’epoca organizzata nel Mediterraneo con il regolamento CIM (cioè quasi tutte). È rimasto famoso il laconico commento di Captain Nat dopo la squalifica della sua barca: “e pensare che lo statuto del club che ha indetto la regata indica, tra i suoi scopi, quello di incoraggiare l'architettura navale".

Idroscivolante
Un altro catamarano: idroscivolante alla Pavia Venezia del 1935

Perché questa premessa? Solo per sottolineare la necessità di un approccio alla definizione di barca d’epoca il più possibile libero da pregiudiziali ingiustificate e da preconcetti storicamente stratificati.

IL ‘MUSCADET’ DI PHILIPPE HARLÉ
Muscadet Philip Harlé 1963
Il Muscadet di Philip Harlé, 1963

Tornando al tema, cioè alla tesi dell’oblio di radici e tradizioni che avrebbe segnato una frattura tra la nautica di fine anni ’50, primi ’60 e quella dell’epoca successiva, è sufficiente, a smentirla, ricorrere ad un solo esempio: il Muscadet. Disegnata nel 1963 da Philippe Harlé come barca scuola, ha lo scafo in compensato marino, quindi da iscrivere di diritto nel nuovo corso (nota 4). Lunga 6 metri e quaranta, quattro cuccette, una forma molto particolare e caratteristica, a causa della quale, all’epoca del suo varo, le è stato appioppato il soprannome, vagamente dispregiativo, di “le petit villain canard”, il brutto anatroccolo. La barca, dalla sua prima apparizione, vince regata su regata, partecipa alla mini-Transat fin dalla sua prima edizione con vari esemplari e continuerà a parteciparvi per molti anni, anche dopo la sua uscita di produzione, ottenendo sempre buoni piazzamenti. Oltre alle numerose traversate atlantiche, due o forse più esemplari fanno il giro del mondo. Jean Luc Van Den Heede, il mitico VDH, che con il Muscadet ha iniziato la sua grande carriera di navigatore oceanico e con il Muscadet ha effettuato numerose traversate atlantiche, lo ricorda come una barca straordinaria.

IL MAESTRO D’ASCIA E IL PROGETTISTA NAVALE
Una domanda retorica: una barca così può davvero essere nata priva di radici, al di fuori o al di là di ogni tradizione, incapace di dialogare con il proprio passato o è invece la summa delle conoscenze accumulate nell’epoca precedente ed ha potuto nascere solo grazie ad una profonda assimilazione degli insegnamenti del passato? Credo che l’errore di fondo della tesi che vede una frattura tra tradizione e modernità nella nautica alla fine degli anni ’50 stia nell’aver individuato nel maestro d’ascia la figura centrale della nautica da diporto. In realtà, nella nautica da diporto (molto diverso il discorso sulla nautica da lavoro, nella quale il maestro d’ascia è rimasta figura fondamentale fino ad epoca recente) il maestro d’ascia era divenuto una figura di secondo piano già nella seconda metà dell’800, quando a lui si sostituisce e si afferma quella che sarà la figura centrale e dominante della nautica da diporto e che tale continuerà ad essere fino ai nostri giorni: il progettista. E, per completare il quadro, va ricordato un ulteriore elemento che dalla seconda metà dell’800 in poi condizionerà in modo determinante la progettazione delle barche: la formula di stazza. Non è questa la sede per approfondire il discorso, ma per dare un flash su entrambi gli elementi dobbiamo tornare a Captain Nat.

Nathanael Herreshoff Captain NatCaptain Nat ovvero Nathanael Herreshoff

Sappiamo che Herreshoff, come progettista, ha disegnato le prime barche da regata di concezione moderna (interni essenziali, con eliminazione di ogni arredo e peso superflui, utilizzo di metalli sia nelle strutture sia nell’opera morta -è il primo ad usare l’alluminio-, centro di gravità molto basso, etc.); sappiamo che è stato un geniale inventore di soluzioni tecniche inedite (sperimenta la chiglia a pinna sottile con bulbo a siluro; i verricelli sottocoperta; i garrocci e la canaletta al posto dei canestrelli); sappiamo che ha progettato sei barche straordinarie che vinceranno altrettante Coppe America. Forse è meno noto il fatto che si debba a lui l’elaborazione del primo sistema scientifico per il calcolo del dimensionamento delle strutture di una barca (ossatura, fasciame, alberature). Negli stessi anni (1906) venne approvato a livello internazionale il primo Regolamento di dimensionamento dei materiali, noto come Lloyd’s Scantling Rules: un complesso di articoli e tabelle per la costruzione e la classificazione degli yacht, che, insieme al sistema Herreshoff, ha definitivamente chiuso l’epoca in cui, per determinare misure e spessori delle varie componenti, si ricorreva a regole tradizionali ed empiriche.
Da allora è il progettista a scegliere sia i tipi di materiali (metallo o legno) da utilizzare nella costruzione, sia gli spessori e le dimensioni delle componenti per fasciame e coperta. Con la diffusione dei sistemi “scientifici” di calcolo dei dimensionamenti delle componenti si segna da un lato il definitivo affermarsi del progettista come figura centrale della nautica da diporto, dall’altro la fine dell’importanza del maestro d’ascia, che da allora diverrà un mero esecutore di precise e specifiche indicazioni di progetto e rimarrà privo di ogni discrezionalità nella realizzazione della barca.
Quanto alle regole di stazza, una delle barche più estreme che Herreshoff abbia disegnato per la Coppa America (il rapporto lunghezza al galleggiamento/lunghezza fuori tutto, che emerge dalle dimensioni indicate nella didascalia della fotografia di Reliance è impressionante) determinò il superamento delle vecchie regole costruttive di Coppa e la necessità di un nuovo sistema di compenso. La nuova formula venne sviluppata dallo stesso Herreshoff: definita “Regola Universale di Compenso”, è rimasta in auge per molti anni (nota 5).

Reliance Herreshoff del 1903
Il Reliance di Herreshoff del 1903: 27,40 metri al galleggiamento, 43,50 fuori tutto, 60 dalla punta del bompresso alla fine del boma

Reliance 1903 Herreshoff 2Un’altra immagine del Reliance di Herreshoff

LE REGOLE DI STAZZA
Le regole di stazza contribuirono a “declassare” definitivamente il maestro d’ascia: quegli splendidi artigiani non potevano competere con dei professionisti nell’elaborazione di progetti capaci di ottenere il massimo rendimento sulla base di raffinate regole tecniche e formule prefissate e nella capacità di sfruttare tutti i “buchi” delle stazze: come ricorda Sciarrelli, se non si ha chiara l’idea della regola con la quale uno yacht, attraverso la stazza, ottiene il compenso del quale potrà usufruire in regata, non si può apprezzare a fondo la sua forma (nota 6). Un solo esempio: quando, nel 1956, venne modificato il regolamento RORC, sparirono i vantaggi della prora corta e divenne più conveniente fare barche più larghe e con la prora più slanciata; le forme degli scafi si adeguarono ben presto (nota 7). È quindi il binomio progettista/regole di stazza a segnare la storia della nautica da diporto per tutto il Novecento ed ancor oggi: possono cambiare i materiali (legno massello, metalli vari, compensato marino, vetroresina), possono cambiare i metodi di produzione (costruzione all’unità o in serie), ma il prodotto finale rimane – almeno per le barche da regata – figlio di quel binomio. Per questo, a mio avviso, non s’è verificata alcuna rottura traumatica alla fine degli anni ’50: non sono infatti cambiati né i progettisti di moda, né le regole di stazza, né le principali regate nazionali ed internazionali e la barca – pur costruita con materiali diversi e con metodi di produzione diversi – ha continuato ad essere realizzata in una linea di sostanziale continuità tecnica con il passato (nota 8).
Tutta questa premessa si è resa necessaria perché gran parte delle definizioni che si ritrovano nei regolamenti delle associazioni delle barche d’epoca sono figlie della tesi della frattura degli anni ’50 e degli ostracismi tradizionali (nota 9).
Per essere ammesse alla partecipazione ai raduni di barche d’epoca – secondo questi regolamenti - solo le barche che siano (i) monoscafi e che siano state costruite (ii) prima di una data di solito fissata a metà degli anni ’50, (iii) in legno o in metallo, (iv) non di serie. Le novità introdotte – come materiali e come metodi di produzione – fine anni ’50 o primi anni ’60 ne risultano bandite.

La vera barca depocaLa vera barca d’epoca secondo alcuni regolamenti: monoscafo, in legno, non di serie

Mi soffermo su ogni requisito:

  • sulla limitazione ai monoscafi già si è detto;
  • non trovo alcuna giustificazione ragionevole nell’identificare nel 1949 o nel 1955 o in qualunque altra data fissa l’anno di riferimento per qualificare una barca come d’epoca: visto che l’evoluzione tecnica della nautica si presenta come un continuum senza soluzione di continuità, l’unico criterio ragionevole appare quello di identificare una data età del manufatto – siano i 25 anni di alcuni regolamenti o i 50 anni richiesti dal Codice dei beni culturali -, compiuta la quale la barca va considerata d’epoca (nota 10); ciò non vuole dire che, nell’ampio spettro delle barche d’epoca che si viene così a creare, non si debbano identificare delle sottocategorie diversificate per periodi, materiali e modalità di costruzione. Neppure vuol dire che le Associazioni di barche d’epoca, nell’organizzare raduni e regate e nel predisporre i bandi di regata, debbano accogliere qualsiasi barca d’epoca: esse sono ovviamente libere di limitare la partecipazione a sottocategorie chiaramente identificate. Ma si deve sempre tener ben presente la profonda differenza tra bando di regata e definizione di barca d’epoca. L’obiezione principale all’abolizione di qualsiasi valutazione di merito (estetica o tecnica) che funzioni da filtro nel definire come d’epoca una barca è che si finirebbe così per far rientrare nella definizione anche le barche della peggior produzione di serie. Due i fattori che occorre considerare per superare l’obiezione:
  • la barca è di per sé un manufatto destinato ad una durata limitata: che sia mantenuto in buono stato di conservazione per oltre 50 anni è già di per sé un fatto eccezionale; (ii) l’evoluzione tecnica ed estetica, ai nostri tempi, è estremamente veloce, ciò che rende rapidamente obsoleti i modelli (nota 11). Ora, se una barca è stata conservata - da una stessa famiglia o da persone diverse che si sono succedute nella proprietà - in buono stato di manutenzione e di originalità per oltre 50 anni, è una barca che merita rispetto, se non altro per l’amore che queste persone le hanno dimostrato; e poi, e comunque, è una barca che testimonia della sua epoca, sia dal punto di vista estetico, sia per quanto riguarda metodi e tecniche di produzione, tipo di materiali utilizzati, etc. E l’esser testimone di un’epoca è quello che si deve richiedere ad un oggetto per attribuirgli una qualche valenza culturale. Sarà poi il mercato, attribuendo un valore elevato o bassissimo, a premiare o punire le scelte costruttive ed estetiche che hanno portato a quella barca: ma lei, la barca, rimane pur sempre testimone della sua epoca.

  • quanto ai materiali, l’accanimento nei confronti della vetroresina non mi sembra avere alcuna giustificazione: quegli stessi grandi progettisti, che avevano disegnato barche oggi considerate “regine” nei raduni di barche d’epoca, hanno continuato a progettare, ma utilizzando come materiale di costruzione la vetroresina, perché in quegli anni la vetroresina era divenuto il più diffuso ed efficiente materiale utilizzato nella nautica; ebbene, “nonostante” la vetroresina, verrebbe da dire, le barche da loro disegnate sono, e continuano ad essere, splendide.

    Nautor Swan 36Swan 36 del 1966, One Ton Cup, progetto Sparkman & Stephens del 1963

Alpa 12.70Alpa 12.70, progetto Sparkman & Stephens del 1969

Va poi considerato che i progettisti hanno sempre sperimentato le novità in fatto di materiali: si pensi all’alluminio utilizzato da Herreshoff nella costruzione della barca che ha vinto la Coppa America del 1895 (primo scafo in alluminio nella storia della Coppa), alla lega leggera (un progetto di Laurent Giles – il Gulvain - è del  1949) o al compensato marino, utilizzato già alla fine degli anni ‘40, in concomitanza con l’affermarsi del dislocamento leggero, e che è in realtà figlio del fasciame incrociato incollato degli anni 30. Insomma, se i nuovi materiali si dimostrano efficienti, vanno accettati: non rifiutati a priori o per preconcetti ingiustificati. Detto questo, sembra peraltro ragionevole differenziare il requisito dell’età a seconda della maggiore o minore deperibilità dei materiali e della maggiore o minore complessità della manutenzione: si può quindi ipotizzare, per considerare una barca d’epoca, un’anzianità minima di 25 anni se costruita in legno e/o metalli, di 50 se in vetroresina.

  • la costruzione in serie viene da lontano: basti pensare che il New York 32 è stato progettato nel 1935 da Olin Stephens (vincitore di un concorso indetto dal NYYC) per essere costruito in serie. Il bando di concorso richiedeva venti esemplari identici (il capitolato poneva infatti il requisito della massima omogeneità di risultato: erano barche destinate ai soci del NYYC per le regate sociali o per misurarsi tra loro nelle veleggiate): per raggiungere l’obiettivo, venne realizzato uno scafo maschio, cioè uno stampo (a perdere: la distruzione dello stampo era prevista nel capitolato), all’interno del quale costruire lo scafo della barca vera e propria. Grazie alla costruzione in serie, tutti i venti esemplari vennero completati in un solo anno (nota 12).

Anche i New York 32 non sono barche d’epoca, visto che sono stati costruiti in serie? (nota 13).

New York 32Il New York 32, progetto Sparkman & Stephens del 1935

Concludo con una proposta di definizione di barca d’epoca: qualunque manufatto, studiato per lo spostamento sull’acqua di uomini e/o merci, (i) costruito - in qualsiasi forma (monoscafo o multiscafo), con qualsiasi metodologia produttiva e con qualsiasi materiale – da oltre 25 anni se in legno e/o in metallo e da oltre 50 anni se in altri materiali e (ii) conservato in buono stato di manutenzione e di originalità.

Avv. Fabio Malcovati 
Presidente ASDEC
(Associazione Scafi d’Epoca e Classici)

NOTE NEL TESTO

(nota 1) Maria Carola Morozzo della Rocca, Per un portale del Nautical Heritage, Genova 2018, pagg. 30-31

(nota 2) Maria Carola Morozzo della Rocca, nel suo libro ora citato, colloca in questo periodo un’importante evoluzione sociologica: “l’andar per mare diventa progressivamente borghese” (pag. 30). Questo passaggio è visto da Sciarrelli (Lo Yacht, Origine ed evoluzione del veliero da diporto, Milano, 1970, pag. 195 e pag. 235) molto prima, nell’epoca tra le due guerre, quando “il proprietario-marinaio naviga sul serio, traversa gli oceani, si ripara da solo le vele che si rompono, fa i suoi turni al timone e alla manovra, sa di navigazione e carpenteria.”: è allora, secondo Sciarrelli, che “lo yacht borghese è nato”.

(nota 3) According to Bethwaites book notes(p25) after Dominion won: Frank Bethwaites, nel suo libro “Higher Performance Sailing", commenta in modo sarcastico: " se non puoi sconfiggerle, vietale”.

(nota 4) Così Maria Carola Morozzo della Rocca, op. cit., pag. 31; per la verità un progettista che diverrà poi importantissimo, Van de Stadt, progettò nel 1949 lo Zeevalk, barca a spigolo interamente in compensato marino: Carlo Sciarrelli, op. cit., pag. 286-288

(nota 5) Per una interessante e dottissima storia dei sistemi di compenso si veda Luigi Lang, Cenni storici sull’evolversi dei sistemi di stazza nel corso dei secoli, in Barche d’epoca e classiche, aprile 2013, reperibile in www.barchedepocaeclassiche.it

(nota 6) Carlo Sciarrelli, op. cit., pag. 311

(nota 7) Carlo Sciarrelli, op. cit., pag. 307

(nota 8) Va sottolineato che quanto fin qui detto vale solo per le barche a vela: per ogni diversa tipologia (barche a motore, barche da lavoro), il percorso evolutivo è stato decisamente diverso e richiederebbe autonomi approfondimenti.

(nota 9) Non si vuol qui negare che forti “cambiamenti sociali, economici e produttivi” (Morozzo della Rocca, op. cit., pag. 31) abbiano segnato gli anni ’60 in tutti i settori della società e, quindi, anche nella nautica: si vuol sottolineare che cambiamento non significa rottura col passato, ma evoluzione, anche forte, pur in piena continuità, rispetto al passato.

(nota 10) L’esperienza maturata da ASI nel settore delle auto e delle moto è in questo senso molto istruttiva: dopo 20 anni dall’immatricolazione sono considerate classiche e dopo 30 d’epoca.

(nota 11) Istruttiva e divertente, sul tema della rapida obsolescenza del prodotto “barca” nell’epoca successiva agli anni ’60, è la lettura dell’Appendice 4, intitolata “Lo yacht dei consumi”, in Carlo Sciarrelli, op. cit., pagg. 382 e segg.

(nota 12) La costruzione in serie del NY 32 è confermata sia nel Quaderno N° 4 – New York 32 e California 32, edito da AIVE, sia da Tassinari, Barcolana Classic 2008, edizioni Emme&Emme, SVBG, ottobre 2008, pag. 31

(nota 13) Il tema della costruzione in serie meriterebbe ben altri approfondimenti, soprattutto con riferimento ai monotipi, che fin dalla seconda metà dell’ottocento caratterizzarono le regate veliche: penso che lo studio di questi antecedenti della costruzione in serie riserverebbe non poche sorprese.

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