Il San Giuseppe Due, la feluca di 16 metri del 1967 protagonista di due spedizioni antartiche, ha lasciato Anzio via camion, con destinazione l’Arsenale di La Spezia. Dopo anni di immobilismo lo scorso 21 giugno è andato in scena l’ultimo atto. Quale futuro per la storica imbarcazione italiana sulla quale il Comandante Giovanni Ajmone Cat compì due navigazioni polari tra il 1969 e il 1973? Ecco il racconto del giornalista Gianni Loperfido, esperto della storia del San Giuseppe Due.
Di Gianni Loperfido – Giugno 2016
Fotografie Paolo Maccione e Gianni Loperfido
Il destino del Museo Antartico e del San Giuseppe Due
Il museo Marittimo Antartico è stato un piccolo e delizioso museo collocato ad Anzio nella dimora di Giovanni Ajmone Cat fino alla sua morte, avvenuta il 18 dicembre 2007. Il Museo di documenti e oggetti ha tratto origine dai due viaggi compiuti in Antartide, tra il 1969 e il 1974, dall’impavido rampollo della nobile famiglia Ajmone Cat a bordo del suo San Giuseppe Due, un motoveliero armato a “feluca” con vele latine di appena 16 metri.
L’eredità storica alla Marina Militare
“Dopo anni di indifferenza delle istituzioni e amministrazioni pubbliche” - mi disse d’un fiato animandosi il comandante Ajmone Cat, in una intervista agli inizi del 2007 - “si è fatta avanti la Marina Militare proponendomi di spostare il Museo e il bastimento, ora interrato in una vasca di cemento all’aperto e in attesa di una definitiva copertura, nell’Arsenale militare di Venezia, ma solo dopo la mia morte”. Puntualizzai allora al Comandante quali fossero le reali possibilità che il Museo Marittimo Antartico e il San Giuseppe Due potessero restare ad Anzio, che così rispose: “Ma, io ho lasciato tutto quanto quello che riguarda la parte Marittima Antartica alla Marina Militare Italiana perché la cosa non si disperda. Il fatto che tutto resti ad Anzio, penso che sia una buona cosa poiché qui è stato concepito e allestito, però, purché non si disperdano le cose. Siccome in testamento io l’ho lasciato alla Marina Militare, è la Marina Militare che a questo punto dovrebbe inserirsi in un’eventuale trattativa per la modifica del programma. Mi rivolgo, anche, all’assessore al Turismo della Provincia di Roma per vedere se è possibile far si che il Museo possa rimanere ad Anzio, laddove ci fu la partenza della prima spedizione con i marinai locali e dove avvennero gli arrivi gloriosi. Oltre all’assistenza diplomatica, tecnica e sanitaria, la Marina mi fornì anche un equipaggio di militari rispondendo all’appello che lanciai quando rimasi solo e con il bastimento bloccato tra i ghiacci per diciassette giorni, ospite della base antartica argentina”.
La petizione per tenere il San Giuseppe Due
Nel 2008 a seguito di un mio avviso ci fu una petizione online intrapresa da parte del giornale locale il Granchio per sensibilizzare la Marina e le istituzioni a mantenere a Anzio il museo: “si tratta di un patrimonio che la città e il territorio non possono e non devono perdere”, questo l’appello lanciato per settimane dal Granchio. Il quattro giugno 2010, dopo essere rimasta per otto anni nella vasca di cemento della residenza dello scomparso Comandante, il piccolo museo fu smantellato e traferito negli arsenali della Marina Militare e il San Giuseppe Due trasportato nei cantieri Peppino Gallinari di Anzio per essere rimessa in sesto e farle riprendere il mare nella primavera del 2011, con un accordo tra la Marina Militare e la sorella Rita Ajmone Cat erede dei beni del Comandante. Si era trovata la soluzione e dopo i lavori nel cantiere, la “feluca” sarebbe stata presa in cura dalla locale sezione della Marina Militare che in collaborazione con il Comune di Anzio l’avrebbe potuta far navigare come Nave scuola e per visite istruttive alle scolaresche o utilizzata per manifestazioni a carattere marinaro a seguito di “ipotetiche” volontà del Comandante Giovanni Ajmone Cat che, invece, in occasione della sua ultima navigazione per mare, quando decise di mettere in secco il San Giuseppe Due, arrivando da Torre del Greco ad Anzio il primo settembre 2002, si era così espresso rispondendo a una mia precisa domanda sul suo futuro. “Io vado in pensione e lei con me, questa barca non dovrà mai più navigare”!
La ‘creatura’ del Comandante Ajmone Cat
Una sua creatura che la segue? Continuai nell’intervista di allora: “Per forza chi ci va? Chi vuole che si possa mettere in mare con questo tipo di barca, dove esistono più le persone capaci di manovrarla… i miei equipaggi ancora si arrangiano perché hanno avuto l’addestramento dei tempi passati”. A bordo quel giorno si erano ritrovati alcuni vecchi marinai del San Giuseppe Due, tra cui gli uomini della seconda spedizione in Antartide del 1973, che avevano risposto subito e con entusiasmo all’appello del loro Comandante per effettuare l’ultimo viaggio, nonostante fossero passati circa trent’anni. I giovani di allora corrispondono ai nomi di Tito Mancini, Mario Camilli, Giovanni Federici e Giancarlo Fede presenti oggi e testimoni del “viaggio via terra” intrapreso dal San Giuseppe Due a bordo di un pesante autoarticolato, scortato dalla polizia, alla volta dell’Arsenale di Spezia.
Il futuro del San Giuseppe Due?
Che ne sarà ancora della storia del San Giuseppe Due e del suo mitico comandante Giovanni Ajmone-Cat, classe ’34? Un uomo nato con la passione per il mare e con l’ideale di vita di dedicarsi alle spedizioni polari per una grande impresa, non propriamente una sfida, ma raggiungere un territorio allora sconosciuto da noi italiani. “E poiché l’Italia non c’era mai stata pensai di portare il San Giuseppe Due fin laggiù”. Le sue semplici parole. Sulla banchina del porto anziate il 21 giugno 2016 alla partenza del bastimento nessuna cerimonia e nessuna autorità o personaggio politico presenti al suo commiato.
Il commento del direttore di Barche d'Epoca e Classiche: “Andrea Cafà, l’uomo del San Giuseppe Due”
Il San Giuseppe Due ha lasciato Anzio con destinazione l’Arsenale di La Spezia. Possiamo solo sperare che tra le ‘braccia’ della Marina Militare possa non essere dimenticato. Forse non ci siamo ancora resi conto dell’importanza di questa imbarcazione, le cui sorti dipenderanno dai fondi e dalle energie che verrano spese per la sua conservazione e per l’eventuale ritorno in mare. Ma c’è innanzitutto una persona che bisogna ringraziare. Un uomo che negli ultimi anni ha fatto di tutto per tenere desta l’attenzione attorno alle sorti della storica feluca: Andrea Cafà, presidente dell’Associazione Culturale e Turistica Pungolo Club di Anzio-Nettuno. Ha scritto lettere, organizzato mostre itineranti da Anzio a Viareggio e in Sardegna, mobilitato le istituzioni, si è speso come non mai sui social network, ha risvegliato le coscienze. Spesso, insieme a lui, anche i membri dello storico equipaggio della seconda spedizione antartica. Andrea oggi è un po’ deluso, ma speranzoso che la barca alla quale ha dedicato anni della propria vita possa tornare a vivere ed essere considerata come merita. Speriamo solo non si riproponga il ‘vizio italico’ di dimenticarsi della nostra storia e delle imprese compiute dai nostri connazionali.
Paolo Maccione – Direttore di Barche d’Epoca e Classiche
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