Dal 1962 la Sibma Navale Italiana, fondata dall’architetto Ernesto Quaranta (scomparso nel 2006), il papà dei famosi scafi in compensato marino a spigolo denominati EM, costruisce e restaura barche in legno. Da più di trent’anni l’attività di famiglia è condotta da Mario Quaranta, anch’egli architetto, che dal 2004 ha stabilito la propria sede operativa a Dolcedo, nell’entroterra ligure alle spalle di Imperia. Qui si continuano a recuperare scafi in legno, a costruire i motoryacht classici della serie Armstrong e ad assistere la flotta dei Dragoni dislocati in Mediterraneo.
Di Paolo Maccione – Gennaio 2015
Fotografie di Paolo Maccione
SIBMA NAVALE ITALIANA, LA ‘CASA’ DEI DRAGONI
Cominciamo dalla storia recente. Nel 2004 la Sibma Navale Italiana di Imperia è stata coinvolta nel restauro integrale del Dragone Valì, costruito nel 1963 dal cantiere francese Ducruet. Una volta varata l’imbarcazione ha partecipato alle regate di classe, tra cui la Bordighera-Saint Florence-Bordighera e i Dragoni Classici a Napoli, dove ha conquistato un terzo piazzamento. Da quell’anno è nato un rapporto di collaborazione con il cantiere inglese Petticrows, il più affermato e conosciuto cantiere al mondo di costruzione di Dragoni in vetroresina. Oggi la Sibma Navale Italiana fornisce in Mediterraneo il service, l’upgrade e tutti i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria di cui necessitano i Dragoni, specialmente in occasione delle competizioni europee. Presso il cantiere stazionano sempre da 8 a 15 Dragoni in legno o vetroresina, ai quali viene garantita completa assistenza.
I DRAGONI NEL MONDO E IN ITALIA
Nel 2014 il Dragone, monotipo progettato nel 1929 dal norvegese Johan Anker, ha festeggiato 85 anni. Con circa 6300 esemplari varati è diventato il monotipo a chiglia più diffuso al mondo. Tra il 1929 e il 2006 in Italia sono stati immatricolati 49 Dragoni. Dal 2006 ad oggi siamo arrivati a ITA-68 … ovvero diciannove Dragoni in più in pochi anni. L’attività italiana si concentra principalmente sul West Liguria. Tra i maggiori campioni italiani di questa classe c’è il veneziano Giuseppe Duca sul suo Cloud (ITA-56), rimessato presso la Sibma Navale Italiana. Recentemente Mario Quaranta ha lavorato sul Dragone Javelin del 1960, costruito dal cantiere danese Pedersen & Thuisen e restaurato a Rimini dal Cantiere Navale dell’Adriatico dei fratelli Fabio e Marco Tosi con la consulenza tecnica della Sibma Navale Italiana, che si è occupata di realizzare l’armo velico e l’attrezzatura di coperta.
I DRAGONI IN CANTIERE
Numerosi i Dragoni ricoverati presso la Sibma Navale Italiana. Tra questi l’inglese Debutant (GBR-375), un Pedersen & Thuesen del 1959, campione europeo in carica 2014. Costruito interamente in legno ha battuto decine di Dragoni in vetroresina, dimostrazione che in questa classe la differenza la faccia soprattutto l’equipaggio. Tramontana (ITA-54) è invece un Petticrows in vetroresina del 2009 di proprietà di Paolo Manzoni, che con Albino Fravezzi alla tattica è stato cinque volte campione italiano di classe. Tra gli altri Dragoni che fanno base in cantiere Dragon-Ea (ITA-60), un Petticrows del 2006, Dragonfly (ITA-50), un Petticrows del 1996, Fanfouette (ITA-44), un Petticrows del 2004 del presidente di classe Tonino Viretti, Fafnir (ITA-41), un Petticrows del 2000, Mondragone (ITA-46), un cantiere Wirz del 1962, Japetus (ITA-16), un cantiere Mario Piras del 1954 e infine Little Diva (ITA-64), un Petticrows del 2010 sul quale regata lo stesso Mario Quaranta con il figlio Andrea e il timoniere Michele Benvenuti, vice campione del mondo della classe Contender. Tra i più stretti collaboratori della famiglia Quaranta anche l’imperiese Fulvio Parodi, Presidente dello Yacht Club Porto Maurizio e noto velista, ‘anima’ del biennale raduno delle vele d’epoca.
EA, UNO STORICO RESTAURO
Recuperare imbarcazioni in legno ha sempre fatto parte della storia della Sibma Navale Italiana. Tra i restauri portabandiera del cantiere c’è Ea, un cutter bermudiano lungo 19,30 metri costruito dal cantiere Baglietto di Varazze nel 1952. Entrato in cantiere nel novembre 2006 è stato sottoposto a un restauro integrale durato 18 mesi che ha riguardato la sostituzione del 20 per cento del fasciame in mogano e del 40 per cento dell’ossatura in legno di frassino. Rifatti anche gli interni e il piano di coperta secondo i piani originali di Vincenzo Baglietto. In occasione del nuovo varo, avvenuto presso la sede storica del cantiere Baglietto, ha partecipato anche Gian Luigi Lagorio Serra, che con Beppe Croce è stato l’equipaggio di Ea nei suoi primi anni di vita e con il quale si è aggiudicato il Nastro Azzurro, storica regata che si correva negli anni Cinquanta in Mediterraneo. Ea ha anche vinto, in tempo reale, ben cinque edizioni della Giraglia.
La barca, che ha cominciato a navigare nell’estate del 2008, ha effettuato crociere in Tirreno e Costa Azzurra, Baleari e sud Italia. Oggi fa base ad Imperia, da dove parte per regatare in occasione di alcune tappe del Panerai Classic Yachts Challenge. Tra le più recenti vittorie quella del 2013 a Les Voiles d’Antibes (vincitore di classe) e Cannes (di classe e overall), di nuovo ad Antibes nel 2014 (vincitore di classe) e un terzo piazzamento di classe a Le Vele d’Epoca di Imperia nello stesso anno.
BALTIC, IL RECUPERO DI UN RIMORCHIATORE D’EPOCA
La sfida più recente del cantiere si chiama Baltic, nome di un rimorchiatore in acciaio lungo 27 metri, costruito nel 1963 dal cantiere norvegese Westermoen Batbyggeri & Mek Mandal per conto della Esso Petroli. La società armatrice ha contattato la Sibma Navale Italiana in virtù delle loro specifiche competenze. La barca verrà trasformata in pleasure boat e farà base in Mediterraneo. I lavori, iniziati nell’agosto del 2014, verranno eseguiti in Francia a La Ciotat e si concluderanno nel 2016. Gli ampi volumi di bordo permetteranno di ricavare 5 cabine doppie oltre agli alloggi per il comandante e l’equipaggio. Elevata l’autonomia di bordo, che permetterà di imbarcare 22.000 litri di carburante e 6.500 litri di acqua, con due gruppi di desalinizzazione da 120 litri/ora. Molte parti di Baltic, motorizzato con due propulsori MAN da 520 cavalli l’uno in grado di spingerlo a 11 nodi di velocità, verranno mantenute come in origine.
L’INTERVISTA
Mario Quaranta, quali sono le origini del vostro cantiere?
Nel 1962 mio padre Ernesto rilevò una società francese che tra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Sessanta costruiva barche in compensato marino multistrato. Si chiamava Sibma, Societè Industriel Bois Moulè Amateur. In quell’anno nacque l’italiana Sibma Navale.
Quali barche si costruivano?
Scafi a vela lunghi da 4 a 8,50 metri. Su richiesta si forniva il kit con i pezzi già tagliati, sagomati e numerati. Tramite le istruzioni per il montaggio chiunque poteva farsi la barca in casa.
Ma realizzare una barca non è così semplice …
All’epoca c’era la possibilità di acquistare il guscio e di completare la costruzione da soli montando le sovrastrutture, l’attrezzatura di coperta, gli interni e l’armamento. Chi non voleva fare proprio niente poteva commissionare la barca finita e navigante.
Quanti scafi sono usciti da allora?
Oltre seicento e nessun kit è mai tornato indietro. Tutti coloro che hanno intrapreso questa avventura l’hanno quasi sempre portata a termine. Per un velista autocostruttore realizzare la propria barca è sempre stato motivo di vanto e orgoglio.
Come si chiamavano i modelli?
Abbiamo costruito le derive Optimist dagli anni Sessanta fino a metà degli anni Ottanta, ne abbiamo varati diverse centinaia destinati a privati, scuole vela, associazioni, ecc. Io stesso sono stato vice campione italiano di Optimist nel 1969 con una delle nostre barche.
Tra le altre barche la deriva Tipsy lunga 4,10 metri, della quale sono stati realizzati oltre 200 esemplari, e l’EM 8,50 costruito a doppio spigolo con altezza d’uomo sottocoperta, 6 cuccette e wc separato. In mezzo ci sono il Promenade 72 e Promenade 79, i cui numeri indicavano gli anni in cui erano nati, quindi l’EM 6, l’EM 7 e infine l’EM 25. EM deriva da Ernesto Mario, il nome completo di mio padre.
Qual è la caratteristica comune di questi scafi?
Il fatto che siano stati concepiti specificatamente per la crociera sportiva e non per la regata. Nulla vieta loro comunque di prendere parte a competizioni di circolo.
Hanno compiuto qualche impresa?
Nel 1976 lo skipper Antonio Solero, a bordo di un Promenade autocostruito lungo 5,90 metri, ha percorso in solitario la rotta da Imperia al Venezuela. Da qui è ripartito nell’inverno del 1977 riattraversando l’oceano Atlantico e facendo rientro in Italia. Oggi le nostre barche navigano in tutto il Mediterraneo. In passato abbiamo ricevuto cartoline da armatori che si sono spinti fino alle isole Canarie e Azzorre.
Perché continuare oggi a preferire le barche in legno piuttosto che quelle in vetroresina?
Il legno, anche nelle piccole dimensioni, è certamente più gradevole, non c’è condensa, ristagni di umidità, la vivibilità è migliore. Poi il legno è caldo e rimane un materiale vivo.
Che differenza c’è tra i vostri scafi prodotti qualche decennio fa e quelli di oggi?
Le barche costruite negli ultimi 25 anni vengono trattate a saturazione di resina epossidica sia internamente che esternamente. Continuiamo comunque ad usare anche la storica colla rossa, soprattutto negli assemblaggi paratia/ordinate. Nulla di diverso per quanto riguarda i compensati marini.
Chi ve li fornisce?
Da oltre cinquant’anni costruiamo le nostre barche con compensati della ditta comasca Bellotti, realizzati su nostre specifiche.
Cioè?
Ogni foglio di compensato è composto da diversi strati: 6 millimetri di spessore a 5 strati, 8 millimetri a 6 o 7 strati, 10 millimetri a 9 strati e così via. Abbiamo sempre preteso che le essenze di mogano sapelli, khaya o makorè che ricoprono le facce esterne fossero presenti anche all’interno del foglio di compensato, affinchè venisse garantita la massima rigidità e durevolezza. Ne è derivato un materiale estremamente compatto.
Parliamo delle attrezzature veliche e delle motorizzazioni.
L’armo è sempre a sloop in testa d’albero, con albero e boma in alluminio. Le superfici veliche variano dai 20 ai 43 metri quadrati. Per le motorizzazioni consigliamo l’entrobordo solo sul 7,50 e l’8,50, di potenza variabile da 8 a 14 cavalli, mentre sui piccoli cabinati sono sufficienti propulsori fuoribordo da 4 a 8 cavalli.
Come si interseca la storia della Sibma Navale con i restauri effettuati presso i Cantieri di Imperia?
Premetto che per essere dei buoni restauratori bisogna innanzitutto essere dei buoni costruttori. Dal 1990, quando i nostri clienti ci chiesero di avere un punto di riferimento sul mare, iniziò un rapporto di collaborazione con i Cantieri di Imperia, una struttura sulla foce del torrente Impero a Imperia Oneglia con una tradizione di costruzione di imbarcazioni pescherecce e barche da lavoro.
Quanto è durato questo rapporto?
Circa tredici anni. Possedevo una quota del cantiere che nel corso degli anni è passata dal 15 a quasi il 30 per cento. Le restanti quote erano suddivise fra una decina di soci.
Quali restauri avete eseguito?
Il più famoso rimane probabilmente quello di Varuna, il cutter aurico del 1909 lungo 21 metri protagonista negli ultimi anni di numerosi raduni di barche d’epoca. Fra gli altri il cutter Marconi del 1947 Croix des Gardes, Shelmalier of Anglesey, Bella Seconda, Tirrenia II, Legno Duro, Bonita, Al Nà Ir IV.
Dal 2004 vi siete trasferiti in collina …
Sì. Il capannone di Dolcedo è sempre stata una proprietà della nostra famiglia. Abbiamo rivalutato la struttura ricavandone un cantiere coperto esteso su 800 metri quadrati con 2500 metri quadrati di piazzale e annessa abitazione. Come dire, casa e bottega.
E le maestranze?
Alcuni artigiani, esperti di legno, meccanica e idraulica, lavorano con noi da oltre quindici anni.
Cosa avete attualmente in rimessaggio?
Alcuni motoryacht per la crociera prodotti da noi, il piccolo Armstrong 7,50, l’Armstrong 10, l’Armstrong 12,80 e l’Armstrong 13,50. Tranne il modello più piccolo gli altri sono tutti in legno. Poi abbiamo il Folkboat appartenuto al Principe Ranieri di Monaco, costruito nel 1954 dal cantiere danese Borresen, quattro EM 8,50 eventualmente a disposizione di potenziali acquirenti, il 5.50 Metri S.I. (Stazza Internazionale) Twins XI del 1960 e La Meloria, uno sloop bermudiano di 13,60 metri costruito da Camper & Nicholson nel 1967 su progetto di Peter Nicholson che ha rappresentato l’Italia nell’Admiral’s Cup del 1969 e 1971 e ha vinto la Giraglia del 1970. Restaurato integralmente da noi tra il 2004 e il 2007, ha anche partecipato a passate edizioni del raduno di vele d’epoca di Imperia.
Tra i restauri del passato cosa ricordi?
Dal piccolo Baglietto del 1934 lungo 6,50 metri, appartenuto al senatore Bruzzone, a una lancia inglese che insieme a una Yole a vela era imbarcata sulla motonave S. Alfonso, alla deriva Katia degli anni Cinquanta. Abbiamo anche un paio di New Sharpie, derive per singolo molto veloci e divertenti. Di questa barca ne abbiamo realizzati sei esemplari.
Passiamo ai progetti, quanti ne avete realizzati fino ad oggi?
Circa 30 progetti esclusivi, dalla deriva Virgola lunga 3,40 metri a uno scafo lungo 14,50 metri a spigolo, tutte barche in legno lamellare con l’unica eccezione rappresentata dalla pilotina a motore Armstrong 7,50. Ha il guscio in vetroresina stratificata rinforzata, realizzato da una ditta torinese su nostro modello in legno, con interni e sovrastrutture in massello di teak e mogano.
Parliamo di questa svolta, avete affiancato il motore alla vela?
Sì, ma si tratta di scafi marini, adatti alla crociera d’altura. Sono un incrocio tra una barca pilota, un peschereccio, un trawler e un piccolo rimorchiatore. La doppia tuga su due livelli, la prua alta sull’acqua, l’alberetto col bigo di carico, le finestrature e lo specchio di poppa verticale richiamano scafi da lavoro nord europei.
Scafi per velisti ormai stanchi di issare le vele …
Esattamente. Per realizzarli ci siamo ispirati alla nostra esperienza di velisti. Chi, per sopraggiunti limiti di età, dovesse decidere di passare al motore potrebbe pensare ai nostri scafi, in grado di consumare meno di 15 litri di gasolio all’ora navigando a 11 nodi di velocità. Si tratta di un bel vantaggio: minore fatica e maggiore velocità.
Descriviamo la tipologia costruttiva …
La struttura è composta da una chiglia in iroko e mogano lamellare, ordinate e specchio di poppa in frassino, correnti longitudinali in lamellare di mogano. Lo scafo viene fasciato con tre strati da 6 millimetri l’uno di compensato marino. In coperta, oltre al compensato da 15 millimetri poggiato sui bagli, ci sono anche le doghe di teak da 8 millimetri. Interni e sovrastrutture sono invece in mogano e teak.
Parliamo un po’ dei restauri …
Non abbiamo mai smesso di restaurare barche in legno. Nel caso della sopracitata La Meloria abbiamo smontato la barca per verificarne le strutture, rifare gli impianti, la motorizzazione e gli interni secondo i piani originali di Nicholson. È stato anche posato un nuovo ponte in doghe di teak da 8 millimetri.
Avete contatti con altri cantieri di barche in legno?
Si. Siamo in ottimi rapporti con il Cantiere Stefano Carlini e il Cantiere Navale dell’Adriatico dei fratelli Fabio e Marco Tosi, entrambi a Rimini, con i quali ci confrontiamo su numerosi argomenti riguardo la costruzione e il restauro.
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